venerdì 25 ottobre 2013

Chi ben comincia... #3 - Speciale Halloween


Buonasera!
Come sapete, Chi ben comincia è una rubrica a cadenza settimanale -anche se io sono un po' lunatica e a volte salto sorvolo la questione ordine- ideata da Alessia del blog Il profumo dei libri, e consiste nel condividere con voi lettori le prime righe dell'incipit di un romanzo che ho letto/sto leggendo/leggerò per indirizzarvi positivamente o meno verso la lettura in questione.

Questo è un post speciale, dedicato all'imminente arrivo di una festa che, per noi amanti del fantasy, è una specie di appuntamento fisso. Ovviamente sto parlando di Halloween, e anche Libri per Passione si prepara con piccole chicche come questa. Ho qui un inquietante -e mooolto lungo!- incipit tratto dal primo capitolo del libro che sto leggendo -eh si, lo sto ancora leggendo... sono mortalmente lenta, tutta colpa della scuola!-, in tinta con Halloween, tutto per voi!

I segreti di Coldtown (The coldest girl in Coldtown)
di Holly Black

Tana si svegliò nella vasca da bagno. Aveva le gambe piegate e la guancia schiacciata contro il metallo freddo del rubinetto. Lentamente, una goccia le aveva inzuppato la maglietta sulla spalla e bagnato alcuni riccioli. Per il resto era asciutta, compresi i vestiti, cosa che constatò con sollievo. Sentiva il collo rigido, le facevano male le spalle. Ancora inebetita, sollevò lo sguardo verso il soffitto e osservò le chiazze di muffa simili alle macchie di Rorschach. Per un momento si sentì completamente disorientata. Poi si mise in ginocchio, sfregando la pelle contro lo smalto della vasca, e scostò la tenda di plastica.
Il lavandino era pieno zeppo di bicchieri, bottiglie di birra e asciugamani appallottolati. La luce intensa e burrosa del sole di fine estate entrava da una piccola finestra sopra il water, ostacolata solo dalle ombre ondeggianti della ghirlanda d’aglio appesa davanti al vetro.
Una festa. Giusto. Era stata a una festa del tramonto.
— Ugh — gemette, afferrando la tenda per tenersi in equilibrio e strappando col suo peso tre anelli dal bastone. Le pulsavano le tempie in modo orribile.
Ricordava di essersi preparata, di aver indossato i braccialetti di metallo che ancora tintinnavano ogni volta che muoveva il braccio, gli anfibi rosso scuro con la punta di ferro, che ci metteva una vita ad allacciare e che, misteriosamente, non erano più ai suoi piedi. Ricordava di essersi truccata gli occhi color azzurro nebbia con la matita nera e di aver baciato lo specchio come portafortuna. Dopodiché, i ricordi diventavano un po’ sfocati.
Facendo leva per alzarsi, Tana inciampò nel rubinetto e si spruzzò dell’acqua sul viso. Aveva il trucco tutto pasticciato: il rossetto sbavato sulla guancia, il mascara allargato in una macchia nera. L’abitino bianco, corto e a vita alta che aveva preso dall’armadio di sua madre, era strappato sotto l’ascella. I capelli neri erano diventati una massa così intricata che ogni tentativo di pettinarli con le dita fu vano. Assomigliava a un mimo devastato.
In verità, era abbastanza sicura di essere svenuta in bagno nel tentativo di evitare il suo ex ragazzo, Aidan. Prima avevano giocato a un gioco in cui si beveva molto, chiamato La Dama o la Tigre: si lanciava una moneta e si scommetteva su testa (dama) o croce (tigre), e se sbagliavi eri obbligato a spararti un bicchiere. Poi avevano ballato e bevuto altro whiskey direttamente dalla bottiglia. Aidan aveva insistito perché Tana baciasse la sua nuova ragazza dalla bocca imbronciata e i capelli color fragola – quella che si era messa al collo il collare per cani trovato all’ingresso. A sentire Aidan, sarebbe stata come un’eclissi di sole e luna nel cielo, il matrimonio del buio con la luce. — Un’eclissi di sole e luna nelle tue mutande, vuoi dire — aveva replicato Tana, ma lui aveva insistito in modo esasperante. E mentre il whiskey le danzava nelle vene e le goccioline di sudore le imperlavano la pelle, Tana si era sentita invadere da una sconsideratezza pericolosamente familiare. Con quel suo viso da angelo malvagio, a Aidan era praticamente impossibile dire di no. E quel che era peggio, lui lo sapeva benissimo.
Con un sospiro, Tana aprì la porta del bagno – che non era nemmeno chiusa a chiave, quindi la gente avrebbe potuto andare e venire tutta la notte mentre lei si trovava dietro la tenda della doccia, quanto era umiliante? – e uscì barcollando. L’odore di birra versata saturava l’aria, insieme a qualcos’altro, qualcosa di metallico e dolciastro. Nella stanza accanto c’era il televisore acceso e, andando verso la cucina, Tana udì la voce bassa del conduttore del telegiornale. Ai genitori di Lance non dispiaceva che lui organizzasse feste del tramonto nella loro vecchia casa di campagna, quindi ce n’era una quasi ogni fine settimana: bastava chiudere le porte a chiave al calar del sole e tenerle sbarrate fino all’alba. Tana era un’habitué e sapeva che di solito al mattino c’era una confusione di voci, con rumori di doccia e
di caffè sul fuoco e di chi cercava di mettere insieme la colazione con un paio di uova e avanzi di pane tostato.

E c’erano lunghe file davanti ai due piccoli bagni, e la gente dava violenti colpi sulla porta se chi era dentro ci impiegava troppo. Tutti dovevano fare pipì, lavarsi e cambiarsi. Sicuramente, rumori del genere l’avrebbero svegliata. 
Ma se invece non aveva sentito niente e tutti gli altri erano già usciti per andare a mangiare da qualche parte, come al solito, sai che risate si stavano facendo. Le sembrava già di sentire le battutacce su quello che avevano combinato in bagno mentre lei era nella vasca praticamente svenuta. Probabilmente giravano già delle foto e tutta una serie di stupidate che si sarebbe dovuta sorbire all’infinito una volta tornati a scuola. E poteva considerarsi già abbastanza fortunata che non le avessero disegnato un paio di baffi.
Se alla festa ci fosse stata anche Pauline, niente di tutto questo sarebbe mai successo. Quando si ubriacavano, si rannicchiavano insieme sotto il tavolo della sala da pranzo, abbracciate come due gattini in un cestino, e nessun ragazzo al mondo, nemmeno Aidan, era abbastanza coraggioso da affrontare la lingua tagliente di Pauline. Ma Pauline era al campo estivo di teatro e Tana si annoiava, così era andata alla festa da sola.
La cucina era vuota, sul bancone c’erano piccole pozze di alcol e aranciata in cui affogavano resti di patatine. Tana aveva appena preso il bricco del caffè quando, oltre il pavimento di linoleum bianco e nero, subito al di là della porta del soggiorno, scorse una mano, le dita allungate come durante il sonno. Si rilassò. Non si era ancora svegliato nessuno, ecco tutto. Forse era lei l’unica già in piedi, anche se, ripensandoci, il sole che entrava dalla finestra del bagno le era parso abbastanza alto.
Più guardava quella mano e più si rendeva conto che era stranamente pallida, bluastra intorno alle unghie. Il cuore di Tana accelerò, il suo corpo reagì prima che la mente potesse concepire l’idea. Lentamente, posò il bricco del caffè di nuovo sul bancone e si costrinse ad attraversare la cucina, un passo cauto dopo l’altro, finché raggiunse la soglia del soggiorno.
A quel punto dovette trattenersi per non mettersi a gridare.
La moquette beige era rigida e nera per le strisce di sangue secco, spruzzato come il colore su un quadro di Jackson Pollock. Il sangue era anche sulle pareti, dove impronte di mani macchiavano la lercia superficie chiara. E i corpi. Decine di corpi. Ragazzi che aveva visto ogni giorno dai tempi dell’asilo, ragazzi con cui aveva giocato ad acchiapparello, con cui aveva pianto o che aveva baciato, erano stesi a terra in posizioni innaturali, i corpi pallidi e freddi, gli occhi vitrei come quelli di una fila di bambole nella vetrina di un negozio di giocattoli.
La mano accanto al piede di Tana apparteneva a Imogen, una ragazza dai capelli rosa, carina e paffuta, che l’anno successivo si sarebbe dovuta iscrivere alla scuola d’arte. Aveva le labbra socchiuse e il prendisole di tessuto blu con le ancore bianche si era arrotolato verso l’alto, lasciandole scoperte le cosce. Sembrava fosse stata catturata mentre cercava di strisciare via, un braccio allungato e l’altro aggrappato alla moquette.
I corpi di Otta, Ilaina e Jon erano impilati insieme. Loro tre erano appena tornate dal campo estivo per cheerleader e avevano dato inizio alla serata nel cortile, poco prima del tramonto, con una serie di salti mortali all’indietro, mentre le zanzare ronzavano nell’aria tiepida. Ora il sangue secco incrostava i loro vestiti come ruggine, macchiava i loro capelli e punteggiava la loro pelle come uno spruzzo di lentiggini. Avevano gli occhi sbarrati, lo sguardo vacuo.
Trovò Lance su un divano, seduto con le braccia intorno alle spalle di una ragazza, da un lato, e di un ragazzo, dall’altro. Sulle gole di tutti e tre erano ben visibili i forellini frastagliati lasciati dai denti. E tutti e tre avevano in mano una bottiglia di birra, come se la festa stesse ancora continuando. Come se da un momento all’altro le loro labbra bluastre avessero potuto chiamarla per nome
Tana fu colta dalle vertigini. La stanza sembrò mettersi a girare vorticosamente. Si lasciò cadere seduta sulla moquette intrisa di sangue, mentre il suono martellante che sentiva nella testa diventava sempre più forte. Alla tv un tizio spruzzava un detersivo arancione su un piano di granito e un bambino sorridente leccava la marmellata da una fetta di pane.
Una delle finestre era aperta, notò, la tenda svolazzava appena. Probabilmente durante la festa aveva fatto troppo caldo e tutti avevano cominciato a sudare in quella casa angusta, desiderando la brezza che si trovava proprio là fuori. Una volta aperta la finestra, era facile dimenticarsi di richiuderla. Dopotutto, c’era sempre l’aglio, e anche l’acqua santa era al suo posto sugli architravi. Cose del genere accadevano in Europa, in paesi come il Belgio, dove le strade brulicavano di vampiri e i negozi aprivano solo di giorno. Non qui. Non nella città di Tana, dove negli ultimi cinque anni i vampiri non avevano attaccato nemmeno una volta.
Eppure era accaduto. Una finestra era rimasta aperta nella notte e un vampiro ne aveva approfittato per introdursi in casa.

Il primo capitolo -qui non è tutto, come vi ho detto è solo una parte, metà circa- è davvero d'impatto, macabro e inquietante. Pensate ad una ragazza, con i postumi della sbronza, confusa e mezza addormentata, in piedi in mezzo ad una strage di cadaveri che sembra quasi la parodia horroh di una festa di liceali finita in un bagno di sangue. Impressionante, no? Ho evidenziato le parti che mi sembrava evidenziassero di più questo aspetto del passo riportato! Lo stile dell'autrice si sta rivelando estremamente piacevole e incalzante, ben dettagliato, con personaggi realistici e mai banali, la psicologia tratteggiata con attenzione e per questo intrigante! Siete d'accordo con me? Vi ho incuriositi abbastanza?

3 commenti:

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